In situazioni stagnanti o che comunque non vanno più bene nella mia vita, mi trovo ad un bivio. Rimanere ad aspettare che cambi e tutto torni come prima, oppure accettare la situazione (fallimento, rifiuto, insuccesso) voltare pagina e andare avanti? Il cambiamento è a volte imposto da situazioni contingenti altre ispirato e sospirato dai miei desideri e bisogni. In ogni caso, deve partire dentro di me perché non lo subisca e anzi porti una crescita personale e un miglioramento in linea con i miei valori e obiettivi.
In questo articolo:
La miccia che innesca il cambiamento
Una crisi, una perdita, una situazione totalmente fuori dal nostro controllo, come quella che stiamo vivendo è una miccia che innesca un cambiamento e ci obbliga a delle scelte. Possiamo rimanere ancorati al passato e non modificare niente, o lasciare andare e adattarci alla nuova situazione, con nuovi obiettivi e motivazione. Magari andare anche controcorrente. In realtà, che io agisca oppure no, non posso fermare il cambiamento, che è inevitabile. Tutto si modifica: la situazione, le persone, io stessa. A volte avviene in modo più prepotente e repentino di altre. Come la situazione che stiamo vivendo. Completamente fuori dal nostro controllo, tranne che per il modo di reagire che mettiamo in atto.
Altre volte il cambiamento non è così palese, non è un cambiamento della situazione esterna, ma è un’esigenza dentro di me. Vedo che non sto raggiungendo i risultati prefissati, che non sto percorrendo la strada che volevo, che non sono felice. E sento il bisogno di cambiare la mia vita, perché sono io che sono cambiata.
La chiave per essere io ad innescare, o quanto meno a dare il contributo, la miccia mi rende artefice – o artificiere (!)- del cambiamento in atto e a indirizzarlo quindi a mio vantaggio.
Il cambiamento non lo posso fermare, nonostante tutti gli sforzi, allora perché non trarne beneficio e prenderlo come punto di svolta per un miglioramento mio, delle mie relazioni e anche della situazione?
“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”
Winston Churchill
Ma andiamo più nel dettaglio a capire cosa sia il cambiamento, come accettarlo e renderlo costruttivo per la mia crescita personale.
Partiamo però dall’inizio.
Che cosa è il cambiamento
Se mi affido alla definizione linguistica della parola ottengo già molti spunti di riflessione:
cambiaménto s. m. [der. di cambiare]. – 1. Il cambiare, il cambiarsi: c. di casa, di stagione, di temperatura; fare un c., un gran c., spec. nelle abitudini, nel carattere e sim.; c. di stato d’aggregazione della materia; c. di stato civile, ecc.; c. di scena, nelle rappresentazioni teatrali e sim. (spesso in senso fig., mutamento improvviso di situazione, di uno stato di cose); c. di indirizzo politico; c. di mano, nella circolazione stradale, lo spostarsi di veicoli o persone da un lato all’altro della via (è anche nome, in equitazione, di una figura di alta scuola). In sociologia, c. sociali e culturali, quelli che determinano trasformazioni nella struttura sociale e culturale di un gruppo. [efn_note] Dizionario Treccani online [/efn_note]
Il cambiamento vuol dire quindi sostituire qualcosa con un’altra, simile o no. Vuol dire trasformare, o trasformarsi, rendere diverso.
I blocchi al cambiamento
Sembra tutto molto interessante e alquanto facile da attuare.
Ma allora, perché è così difficile accettare o attivare il cambiamento?
I motivi possono essere vari. Innanzi tutto, anche la predisposizione personale al cambiamento.
Per qualcuno è più innata, anzi ne sente il bisogno quasi vitale (chi rivoluziona spesso l’arredamento in casa per sentirsi sempre in un luogo nuovo, chi non rimane ancorato mai allo stesso lavoro per mettersi alla prova e acquisire nuove competenze, chi cambia ciclicamente fidanzato/a…).
Per altri è molto più difficile e le motivazioni possono essere, fra altre, queste:
Paura
Il cambiamento presuppone il lasciare il noto per l’ignoto, l’uscire dalla propria zona di comfort per addentrarci in quelle che vengono definite aree di sfida e di apprendimento, dove cioè avviene la crescita personale (se rimango sempre nel mio orticello tranquillo, lo conoscerò a menadito ma non attiverò mai quell’apprendimento favorito dal fronteggiare situazioni nuove, che mi possono anche destabilizzare). Il cambiare implica che io mi assuma le responsabilità delle conseguenze che ne scaturiranno dalle mie scelte e decisioni. Devo essere consapevole che le conseguenze ci saranno anche se non scelgo di agire. Se lascio che siano gli eventi, o gli altri, a decidere e agire per me. Anche il non agire è una scelta, a volte delle peggiori perché dettata da paura o peggio vigliaccheria. La mia non decisione avrà delle conseguenze. E devo comunque assumermi la responsabilità delle conseguenze del mio non decidere.
Abitudini negative
Cosa mi blocca nel cambiamento è dovuto soprattutto ad abitudini negative che – per paura, mancanza di abitudine a decidere ed assumersi le responsabilità – mi bloccano in una gabbia di inazione, per quanto dorata o comoda. Sono ferma lì, a pensare senza agire e procrastinare le azioni importanti. Il dire “ho/abbiamo sempre fatto così” è il pericolo maggiore per accettare e attivare il cambiamento. A livello personale, lavorativo (team e aziende) e sociale. Se la situazione è cambiata, o vogliamo cambiarla, la prima cosa da eliminare sono le abitudini, soprattutto negative (e sostituirle magari con altre, positive e adatte al momento). Di nuovo dobbiamo uscire dalla zona di comfort per esplorare l’inesplorato.
Infrangere le abitudini
A livello personale l’abitudine peggiore è il negare ogni possibilità di cambiamento personale, e di conseguenza di crescita e miglioramento. È l’atteggiamento stile fuggo-da-ogni-responsabilità che si nasconde dietro la frase – irritante, lasciatemelo dire – “sono fatto/a così” oppure “è successo così”.
Rispetto ad azioni passate non mi assumo in questo modo le responsabilità ma preferisco scaricare le colpe, trovare scusanti o fare finta di niente.
So di bluffare, ma mi fa comodo – o almeno credo – così. Mentre l’importanza di assumersi le proprie responsabilità rispetto ad azioni passate- scelta scomoda, brutta e mal digeribile, ma necessaria- mi dà la spinta a trovare il coraggio nell’intraprende un percorso di cambiamento e liberarmi in modo definitivo del passato – quello che mi opprime – facendo piazza pulita delle emozioni negative che lo accompagnano.
Whitmore, uno dei padri del coaching moderno e inventore del modello G.R.O.W. (che vedremo meglio nel prossimo articolo) a riguardo dice “Infrangere le abitudini dà accesso a nuove strade, rende la vita più interessante, apre la porta a nuove scoperte, procura nuovi amici, rende una persona molto più brillante. L’agilità è una questione vitale e sarà sempre più necessaria” [efn_note] John Whitmore, Coaching – Come risvegliare il potenziale umano nella vita professionale e personale, 1992 o 2011 [/efn_note
Senso di fallimento
Se cambio il mio percorso personale non devo considerare il percorso fatto finora come una perdita di tempo. Sia esso un percorso di carriera – con il fallimento di un progetto lavorativo che impone un cambio di guardia – che personale – magari con la fine di una relazione, un divorzio – che mi fa sentire svuotata e senza niente in mano. Nel cambiamento non devo ripartire da zero, non pesco la carta “retrocedi alla casella 1” del Gioco dell’Oca. Se non lo attivo e non lo cavalco però, rimango bloccata nella casella del “pozzo” o della “prigione” e vedo che tutti gli altri partecipanti mi passano avanti, mentre io aspetto che il tempo passi o un colpo di fortuna mi salvi dalla situazione di stallo (di regola, nel gioco dell’oca, è l’arrivo di un altro malcapitato che prende il mio posto…non è proprio sinonimo di intraprendenza…).
Perdita dell’obiettivo finale
Nel cambiamento quello che cambiano sono i percorsi, che devo provare per “testare” la loro efficacia, e posso modificarli con l’esperienza e i feedback ricevuti. Per questo è importante definire micro-obiettivi che mi portano all’obiettivo finale (come vedremo nel dettaglio nel prossimo articolo).
Questi mini-obiettivi sono suscettibili a cambiamenti. Anzi è bene che lo siano. Vuol dire che sto sondando il terreno in modo pragmatico e non idealista. Proprio come chi fonda una start-up: ha un obiettivo finale ben chiaro, ma con molti passaggi intermedi volti proprio ad essere più efficaci ed efficienti nell’uso delle energie per arrivare al punto finale. Mi serve per ascoltare le risposte del mercato, per adeguare la mia idea e renderla più competitiva.
A volte ho un’idea che mi sembra perfetta, intoccabile. Invece lo è solo nella mia testa. Magari dovrà cambiare la strada, non sarà una strada dritta (non lo è mai), avrà varie curve, deviazioni, ma alla fine arriverà a destinazione. Se insistessi nel ripetere sempre le stesse azioni, convinta della loro efficacia ma che efficaci nella realtà non si dimostrano, non arriverei mai al mio obiettivo. Mi fermerei, esausta e frustrata.
Per questo è anche importante avere una mission, la mia ragione di essere che mi permetterà di vivere sempre con il focus su chi sono e cosa voglio, in linea con i miei valori e aspirazioni.
Senso di impotenza
Spesso di fronte ad eventi esterni più grandi di noi – come una pandemia può essere – mi sento impotente. in realtà lo sono. Non posso scegliere né cambiare spesso quello che mi accade – sono appunto impotente – ma posso scegliere e cambiare il mio modo di reagire. L’accettazione implica quindi la consapevolezza della situazione, delle mie risorse (che, se guardo bene sono sempre di più di quanto creda) e presuppone un cambiamento, una trasformazione.
Avere un approccio di responsabilità verso quanto mi accade.
Mi rende proattivo [efn_note] Stephen Covey in “Le 7 Regole per Avere Successo”, definisce la proattività come “l’iniziativa e il senso di responsabilità necessari per far sì che le cose accadano”[/efn_note] verso quanto posso modificare, ampliando le mie sfere di influenza, ossia ambiti sotto il mio pieno controllo, che quindi posso modificare e quelli che non posso controllare ma di cui posso influenzare i risultati.
Una tecnica che uso molto in formazione proprio per portare il partecipante alla presa di consapevolezza e a capire come essere proattivi nel cambiamento è il Teatro dell’oppresso di Augusto Boal. È diventare lo spett-attore dello spettacolo: si attua una interazione e scambio diretto fra gli attori e gli spettatori. Dopo una prima fase dello spettacolo rappresentata esclusivamente dagli attori, nella seconda al pubblico viene chiesto l’opinione, se condivide oppure no le scelte fatte per risolvere il problema, la situazione avversa. Nel caso voglia intervenire, lo spettatore entra in scena e prende il posto di un attore, attivando quel cambiamento che lui/lei ritiene necessario per la risoluzione della situazione. [efn_note] Augusto Boal, Il teatro degli oppressi. Teoria e tecnica del teatro, La Meridiana, Molfetta,2011 e Games for Actors and Non-Actors di Augusto Boal Routledge, 2002.[/efn_note]
Nel prossimo articolo vedremo più nel dettaglio come affrontare in maniera pratica e costruttiva il cambiamento, utilizzando il modello G.R.O.W. di John Whitmore.
“È l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi!”
Lucio Anneo Seneca
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[…] ne scaturiranno dalle mie scelte e decisioni. (vedi Cambiamento ep. 1: cosa è e perché fa così paura per capire come si manifesta la paura al cambiamento e come […]