La determinazione, la persistenza e la pazienza sono indubbiamente alla base del successo non solo nel mondo lavorativo ma anche in quello personale. Il lasciarsi bloccare dalle difficoltà e dagli ostacoli, il “mollare quando il gioco si fa duro” ci fa sentire deboli, non focalizzati sull’obiettivo e soprattutto ci fa perdere credibilità di fronte agli altri. Ma è sempre positivo insistere? Anche quando gli ostacoli diventano troppo grandi? Come fare a capire quando smettere di insistere se non è più utile e vantaggioso continuare?
Vediamo di fare un po’ di chiarezza…
Sono un’amante del cinema – facile a capirsi da i ricorrenti riferimenti cinematografici – ma devo fare una confessione: non ho mai visto il film “Titanic”, non per snobismo, ma solo perché forse dopo un po’ era come se lo avessi visto (lo so, una cinefila non dovrebbe dire questo). Le scene riprodotte in loop, frasi ripetute all’infinito, scene iconiche (credo che la posa di Kate Winslet/Rose a braccia aperte sorretta da Leonardo Di Caprio/Jack sia la posa fotografica più riprodotta dagli innamorati… auguro a loro un finale diverso, però). Insomma, è come se lo avessi visto.
Ma c’è una scena che mi piace in modo particolare. Quando ormai tutto è perduto e la nave scende a picco, l’orchestra continua a suonare. E manco a dirlo, sembrerebbe che anche nella realtà abbiano suonato “Nearer, My God, To Thee” (“Più vicino a te, mio Dio”).
A quanto pare, anche nella realtà storica, sembra che lo abbiano fatto per contenere il panico (dei passeggeri della prima classe, ovviamente…quelli nella terza classe stavano già bellamente sguazzando in acqua, ahimè…).
Ma un dubbio, quindi, sorge, anche senza essere cinici: sembrerebbe che proprio il fatto che continuassero a suonare come se niente fosse abbia creato una sensazione di stabilità e sicurezza, tanto da non far avvertire l’urgenza di mettersi in salvo a molti passeggeri. Non solo, quindi, non si sono eroicamente messi in salvo, ma avrebbero in qualche modo influenzato anche molti passeggeri a non farlo…
E’ stata quindi la scelta giusta?
“L’uomo saggio può cambiare idea; il testardo, mai.”
Immanuel Kant
In questo articolo:
Continuare nonostante tutto è sempre la scelta giusta?
Fortunatamente per noi, per le nostre scelte non ci troviamo in situazioni analoghe di transatlantici che si aprono come una scatoletta di sardine contro un iceberg. Almeno per me è così…e lo spero anche per te.
Ma se ci pensi bene, quante volte il tuo percorso è ostacolato, se non messo in pericolo, da situazioni inaspettate, comportamenti di altri che ci sconvolgono e atterrano. Anche se non sei sul Titanic, il tuo non è un caso isolato..
Un fidanzato o compagno che cambia idea e senza tanto preavviso (come l’iceberg) se ne va senza spiegazioni (che, anche se sbrodola qualcosa, non sono mai abbastanza).
Un progetto lavorativo che d’un tratto si trasforma da difficile ma fattibile in un campo minato dove oltretutto la meta non è più chiara e visibile.
Un progetto di vita che fino ad ieri sembrava così bello e realizzabile, che diventa un sogno ad occhi aperti.
Insomma, gli iceberg che mi “aprono come una scatoletta di sardine” per lasciarmi lì, spaesata a colare a picco…ma insisto nel rimanere aggrappata al mio “progetto/transatlantico” perché ci credo (in effetti, anche il Titanic era stato pubblicizzato come il più sicuro al mondo ed hanno continuato a crederci fino a quando stava colando a picco).
Ma come…era tutto perfetto…
E riesco a trovarmi tutte le ragioni e spiegazioni valide. Validissime, senza dubbio.
Non può non andare come avevo previsto…
Lui in realtà mi ama ancora, ma è stressato…anche se è già con un’altra…
Se insisto la mia perseveranza mi darà ragione…e mostrerà anche agli altri (che avevo ragione!).
Se non arrivo in fondo… vuol dire che non avrò provato…
In realtà a volte a furia di insistere in fondo ci arriviamo.
O meglio …tocchiamo il fondo (e mai analogia con il Titanic fu più azzeccata, ahimè!
Quando insistere sembra l’unica opzione
Spesso posso cadere nel vicolo cieco di vedere una unica opzione. La mia.
Altre opzioni o approcci non sono contemplati.
Il fatto che lui non mi ami più e non sia interessato a me non è possibile (e detto tra noi, è un folle solo al pensiero! Ma di folli ne è pieno il mondo…).
Se quel progetto lavorativo non procede come previsto è perché gli altri non riescono a coglierne tutta la potenzialità (magari sono io che non sono riuscita ad esprimerla… o in realtà di potenzialità quel progetto ne ha ben poche, ma non lo vedo, o non lo voglio ammettere).
Insomma, o si fa come dico io o niente. Il cambiare non è contemplato, figurarsi il mollare la presa.
Sarebbe una resa, e arrendersi non piace a nessuno… e ci insegnano sempre di credere in noi stessi e non mollare…
La perseveranza sembra l’unica via per il successo. ed è in parte così.
In effetti abbiamo casi celebri di perseveranza di visionari (anche considerati folli) nei vari campi che hanno dimostrato alla fine di avere ragione. Jeff Bezos ne è un esempio palese: già nel suo discorso di laurea, nel lontano 1982, fece un discorso, forse visionario, forse folle: “Voglio costruire hotel spaziali, parchi di divertimento, yacht e colonie per due o tre milioni di persone in orbita intorno alla terra. L’idea è di preservare la terra. L’obiettivo finale è portare tutte le persone fuori dalla terra e vederla trasformata in un enorme parco nazionale”. Poteva sembrare folle…ma quella visione da diciottenne la sta realizzando adesso, da cinquantenne (oltre ad avere realizzato un bel po’ di cose prima).
Ma Bezos ci insegna anche ad unire alla perseveranza l’intelligenza. Lui non si è messo a organizzare voli spaziali come primo progetto, ma ci è arrivato piano piano, coltivandolo a lato mentre creava la più grande società di commercio elettronico al mondo…
E la strada non è stata senza dubbio in discesa, ne ha visto dei cambiamenti di percorso.
Sia Amazon che la Blue Origin non saranno venute fuori come erano pensate all’inizio. Avranno avuto modifiche, ripensamenti e altri progetti magari non hanno neppure visto la luce. La visione era chiara, chiarissima. Ma il percorso si è adattato agli eventi, alle risorse, alle necessità.
“Bisogna essere testardi nella visione e flessibili nei dettagli..”
Jeff Bezos
I danni dell’insistere ad oltranza
L’insistere quando tutto (e magari tutti) mi stanno suggerendo di smettere può trasformarsi in un vero disastro.
Il mio insistere può trasformare la mia determinazione in testardaggine.
Mi fa perdere la cognizione della realtà. L’essermi fissata su un obiettivo mi fa perdere il contatto di come il percorso stia procedendo. E dei diversi percorsi che posso intraprendere, per raggiungere lo stesso obiettivo o magari per modificarlo, se mi rendo conto che non è più raggiungibile per vari motivi, o se non è più così prioritario per me.
In amore, ad esempio, il continuare a portare avanti una relazione che non ha più senso può distruggere anche l’affetto e la stima dell’altro.
O il continuare ad insistere con una persona che, anche se non me lo ha detto chiaramente, non è interessato a me o non prova i miei stessi sentimenti (d’altronde, al cuor non si comanda) può allontanarla ancora di più. Quello che è peggio, l’insistere in questo caso sicuramente andrà a minare la mia autostima e il mio amor proprio…
Come capire quando dire “basta”
Ma quando e come capire allora a lasciare la presa? Come capire che in effetti quell’uomo non faceva per me, che quel progetto non mi avrebbe portato in nessun dove o che comunque non ce ne erano le possibilità?
Quindi, vediamo alcuni indicatori che mi fanno capire che questo è il momento giusto per cambiare direzione:
- La situazione è totalmente fuori dal mio controllo e dalla mia influenza (non posso fare niente per modificare gli eventi)?
- Mi sento demotivata? Non vivo più la situazione con il sorriso o quantomeno con la determinazione di raggiungere gli obiettivi…e forse questi obiettivi li ho persi…
- Il tutto porta lontana dai miei valori e non mi riconosco più.
E mi rendo conto, facendo un passo indietro ed avendo una visione più oggettiva, che molti indicatori erano chiari, ma non li volevo vedere:
- I tempi non erano quelli giusti (magari per l’altra persona o per il progetto).
- Non c’erano le condizioni basilari (mancanza di risorse per un progetto… o reciprocità di sentimenti in amore…).
- Io non ero nelle condizioni migliori. Magari relegavo a quel progetto o a quella relazione delle aspettative che prescindevano dalla situazione stessa.
- Vedevo nella relazione affettiva un bisogno di stabilità che andava oltre alla persona che la poteva impersonare…
- Attribuivo al progetto lavorativo un bisogno di apprezzamento che esulava dal progetto e dal lavoro stesso…
“È nota col nome di perseveranza quando si tratta di una buona causa − e di testardaggine quando la causa è cattiva.”
Laurence Sterne
Accettare quello che non posso cambiare
Alla base di questa consapevolezza c’è la fase critica quanto decisiva dell’accettazione. Ed è proprio questa alla base del successo. Quando vedo che un percorso non è più adatto a me, non devo credere che l’intestardirmi sia sinonimo di lungimiranza o visione. Anzi…abbiamo visto che è decisamente un boomerang…
L’accettazione indica al contrario la flessibilità, proprio come dice Bezos ed è quello che gli antichi chiamavano Amor fati, ossia amore del destino.
Per capire quando dire basta devo accettare quando la situazione non è più possibile. Accettare che non sia andata come volevo e sì, accettare anche il fallimento.
L’accettazione è forse la parte più dolorosa. In amore lo è ancora di più di quando si viene lasciati, quando magari continuiamo ad avere delle speranze o illusioni. L’accettazione può avvenire spinta da eventi esterni (dopo qualche settimana, neppure troppe, lo vedo per strada mano nella mano con un’altra donna e mi rendo conto che tutti i problemi al lavoro o il malessere esistenziale che mi propinava, non erano che una scusa) o può venire da dentro di me. E questa opzione è auspicabile.
Mi rendo conto che quella strada non era quella giusta in quel momento della mia vita. Mi rendo conto di quali sono i miei reali bisogni e obiettivi.
E ricomincio da questi.
Non dimenticando o peggio nascondendo a me e agli altri il mio “insuccesso”.
Tutt’altro. Tenendolo a monito. Per non ricadere negli stessi errori ma anche per apprezzare quello di bello che c’è stato, e quanto mi abbia dato.
Solo accettando il fatto che la questa “nave” non è inaffondabile, posso mettermi in salvo.
E cambiare rotta.
Questa volta sarò più abile nello schivare gli iceberg…
Verso lidi più adatti a me, e con una musica in sottofondo più allegra!!
“Il nostro amore è là
testardo come un asino
vivo come il desiderio
crudele come la memoria
sciocco come i rimpianti
tenero come il ricordo
freddo come il marmo…”
Jaques Prévert
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