self-doubt

Quando sono io a creare il dubbio, o meglio divento l’oggetto del dubbio, quello che gli inglesi chiamano self-doubt. Dubitare di se stessi, delle proprie capacità ma anche delle possibilità che mi si aprono davanti e di come gli altri mi considerano è una forma di auto-sabotaggio basata sulle insicurezze, sul proprio passato nonché sulla paura del cambiamento.

Le forme del dubbio.

Nel precedente articolo abbiamo visto quando i dubbi che mi assalgono dipendono da elementi esterni, come la scelta di un lavoro piuttosto che un altro, o di un fidanzato. Insomma, quando mi si presentano davanti più opzioni e sono bloccata proprio nel non sapere quale scegliere, quale strada imboccare.
Sarà quella giusta? Rimpiangerò la scelta? Queste le domande più ricorrenti che a volte non si fermano a rimanere semplici domande (con l’intento di farmi capire meglio) ma diventano delle scusanti per non agire. 

Adesso, come promesso, ci addentriamo in quel terreno minato che è il dubitare di se stessi, quelli che gli inglesi con la loro sintetica efficacia, chiamano self-doubt.

“Io sono colui che dubita e il dubbio stesso.”

Ralph Waldo Emerson

Il dubitare di se stessi.

Il self-doubt, ovvero il dubbio che si prova su se stessi e sulle proprie capacità, è un’esperienza comune che colpisce innumerevoli persone in modi diversi.  È spesso legato ad una mancanza di fiducia e sicurezza in se stessi, nonché ad un sentimento di insicurezza che può derivare dalla percezione dei giudizi degli altri. Le opinioni degli altri possono essere particolarmente significative, poiché può essere difficile non esserne influenzati. Quando le persone sentono che gli altri non hanno fiducia nelle loro capacità, può portare ad una mancanza di fiducia in se stessi, e il self-doubt può prendere il sopravvento. 

L’aspetto paradossale è che nella maggior parte dei casi le persone non credono in me perché avvertono, anche inconsapevolmente, la mia insicurezza. E come fanno a credere in me se sono la prima a non crederci?
Insomma, s può entrare in un circolo vizioso e per uscirne è bene capirne le cause e affrontarle su più fronti.

La sindrome dell’impostore.

Qui ci colleghiamo direttamente a quella che è definita “sindrome dell’impostore” (di cui vedi un approfondimento nel link a lato), ossia quella forma di auto-sabotaggio dovuta proprio ad una convinzione di non meritarmi il mio successo: mi sento come un impostore, appunto, di aver commesso una frode, aver ingannato – quando non è assolutamente la realtà – e temo/mi aspetto di essere smascherata prima o poi. Mi sminuisco di fronte a me e gli altri – non come atteggiamento di umiltà ma vera e propria autosvalutazione – non celebro i risultati ottenuti, ma tendo a nasconderli proprio come se fossero il risultato di una frode, se non fossero meritati.

Mi faccio sopraffare dall’idea di un me stessa diversa e dalle aspettative che mi pongo e – credo – gli altri abbiano su di me.

Tutti i miei comportamenti e emozioni sono influenzati da questo stato d’animo, da questa percezione, determinando quindi il mio successo e soprattutto la percezione che ho di esso (nell’articolo a lato trovi le forme in cui si manifesta e come affrontarlo e per questo non mi dilungherò ulteriormente in questa sede). 

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sindrome dell'impostore

Le “scusanti” (in alcuni casi veri e propri “cavilli emozionali”).

Non mi sento mai all’altezza, penso di non aver abbastanza risorse… insomma non è mai il momento giusto e continuo a ripetermi “se avessi, potrei”. 
I miei coachee conoscono bene le mie “reazioni” all’uso del modo condizionale (e quindi alle scuse), e li metto di fronte alla realtà e a quello che vogliono raggiungere: è possibile? Magari passando da un’altra strada?

Una cliente che voleva intraprendere una carriera molto interessante nel mondo delle ricette culinarie italiane (per il mercato estero). Ne aveva tutte le capacità, ma continuava a porre come freno il fatto di non avere la location giusta per fare le foto. La voleva perfetta, come era nei suoi pensieri, nei suoi sogni. Ma per averla avrebbe necessitato di un budget molto superiore, che non aveva. E comunque, non sarebbe mai stata come la immaginava. Alla mia domanda “perché non prendi in affitto sale posa che puoi arredare come vuoi?” si è resa conto che non era quello il blocco, bensì era la sua paura di non farcela che la bloccava. La paura di un fallimento la destabilizzava.

La location era una scusa e la mia domanda, scontata, penserete, è arrivata solo quando era pronta per capire il motivo dei suoi dubbi. Prima la stessa domanda sarebbe stata inutile. Se non un boomerang.

Perché se il dubbio “esterno” visto nel precedente capitolo spesso ha ben poco di oggettivo, in questo caso l’oggettività è quasi del tutto assente.

La “mancanza” di risorse diventa un cavillo che genera emozioni demoralizzanti e demotivanti e pensieri limitanti che creano dei veri e propri blocchi a progredire. Anche in quei percorsi più semplici, o, se vogliamo, che implicano un rischio blando senza avventurarsi in un triplo salto carpiato con avvitamento all’indietro (che non so neppure se esista). 

self-doubt

Il passato.

Una delle cause maggiori del dubitare di se stessi è senza dubbio il passato con le sue esperienze (negative) e fallimenti. L’insicurezza e il dubitare di se stessi come diretta conseguenza di un passato “ingombrante” che può quindi influenzare i nostri dubbi, soprattutto quando ci sono stati fallimenti o scelte importanti che non sono state prese (in questo caso subentrano quindi i rimpianti di una scelta non fatta che sono probabilmente più difficili da scalzare dei rimorsi di una scelta sbagliata).

Invece di essere un ostacolo, il passato dovrebbe essere una fonte di apprendimento, anche se si commettono errori lungo il percorso. La paura del fallimento mi trattiene o mi impedisce di progredire. In questo senso, il passato dovrebbe essere un promemoria dei successi raggiunti e delle lezioni apprese (sia grandi che piccole).

Con l’accettazione e l’apprendimento di un passato “ingombrante” devo imparare anche ad avere compassione per me stessa e per gli errori commessi. Senza di essi non sarei chi sono adesso. Ovvio che se ripeto sempre lo stesso errore qualche domanda devo farmela, o farmi controllare da un neurologo per controllare la mia memoria… Soprattutto quella memoria selettiva che mi fa riaffiorare solo i ricordi negativi, gli insuccessi e fallimenti, ma chissà come mai i miei successi, anche quelli piccoli. 

“Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.”

Bertrand Russell

La paura del successo.

Devo imparare a valorizzare il percorso fatto, le cadute, ma anche i successi ed imparare a “premiarmi”.

E devo imparare a festeggiare i miei successi (anche piccoli) futuri: i miei coachees lo sanno. È un ritornello. Il congratularsi con se stessi per i risultati. Il che non vuol dire pavoneggiarsi, tutt’altro. Ma dirsi BRAVO, BRAVA! E perché no, farsi un regalo. Un giorno di vacanza, un pomeriggio con i propri cari. Un camminata all’aria aperta, un paio di orecchini o orologio che desideravo da tempo. Perché no? Perché devo aspettare la validazione e riconoscimenti dagli altri e non sono la prima a riconoscerli?

Un altro coachee non si sentiva mai abbastanza pronto per intraprendere il lavoro dei suoi sogni: inanellava corsi su corsi per mai mettersi alla prova. Fino a quando non ha capito che l’ostacolo al suo successo era esclusivamente la sua paura di fallire. Anzi, era proprio la paura di riuscire nel suo intento, nell’avere successo, che avrebbe comportato un grosso cambiamento con presa di responsabilità, ma anche un salto di qualità del lavoro che non si sentiva in grado di sostenere (in realtà lo è stato eccome!)

Il rimuginare (over-thinking).

Il dubbio deve aiutarmi a valutare bene, anche a non sopravvalutarmi. Ma non deve essere il volano per sottovalutarmi in attesa della validazione dall’esterno.

Il pensare troppo, il rimuginare (in inglese over-thinking) mi porta esattamente a questo: analizzare in modo compulsivo ogni singolo dettaglio (sempre con una visione pessimistica se non distruttiva), dare il potere a quei pensieri limitanti che periodicamente riaffiorano prendendo il controllo. Non sono abbastanza brava, non ce la farò mai, andrà come le altre volte (ossia, male!).

Questo me lo trascino non solo nel campo del lavoro, ma è molto facile che mi faccia influenzare anche in quello privato: magari ho una collezione ben poco invidiabile di relazioni disastrose fino a quando non mi rendo conto che ho semplicemente paura di una relazione. Di mettermi in gioco. Di essere vulnerabile e non avere tutto sotto controllo.

E tutti i miei comportamenti e pensieri seguono a ruota (facendomi deragliare).

Con tutti i fidanzati “sbagliati” a bordo (magari…uno alla volta)!

Fino a che non mi fermo, aggiusto quella ruota e riparto. Sola? Con qualcuno? 

Non importa. Riparto con il “carro” funzionante. Con la sicurezza in me stessa.

“Si parla tanto del bello che è nella certezza; sembra che si ignori la bellezza più sottile che è nel dubbio. Credere è molto monotono, il dubbio è profondamente appassionante. Stare all’erta, ecco la vita; essere cullato nella tranquillità, ecco la morte.”

Oscar Wilde

E tu?

Quanto ti influenza il dubitare di te stess*?

Sei stanc* di non sentirti all’altezza?

Commenta qui sotto, se ti va, sarà interessante avere diverse opinioni.

Come coach ti aiuto a prendere le scelte, proprio quelle che ti fanno più paura

affrontando i dubbi e i loro perché.

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Quando il dubbio sono io.