La pandemia del Covid con il suo isolamento ha scaturito una serie di emozioni che non sempre siamo riusciti a capire e conseguentemente a gestire. Ci ha soprattutto messi di fronte alle nostre relazioni interpersonali, ai nostri affetti con relative emozioni spesso schizofreniche. Ci ha portati a rivoluzionare molto spesso le nostre rubriche dei contatti, eliminandone alcuni, aggiungendone altri e mantenendone con ancora più convinzione forse pochi, ma importanti.
In questo articolo:
Isolamento
La pandemia del Covid con relativo lockdown ci ha costretti a misurarci con molti aspetti della nostra vita che solitamente non consideravamo così impellenti o addirittura importanti.
Ci ha messo di fronte allo specchio con tutte le nostre fragilità, paure, dubbi e ansie per il presente totalmente sconosciuto e perciò destabilizzante e per il futuro, avvolto totalmente in una bolla di plexiglass del quale è ben difficile delinearne i tratti. Vorremmo forse fare un salto in avanti premendo il tasto fast-forward per evitare questa situazione che ci logora, che ci lascia spiazzati e indifesi. Vorremmo forse andare direttamente alla scena “virus annientato e tutto è come prima (o meglio di prima)”.
Emozioni
Il Covid con il suo isolamento ha scaturito una serie di emozioni che non sempre siamo riusciti a capire e conseguentemente a gestire. Inizialmente lo spaesamento verso qualcosa di nuovo, sconosciuto e temibile come il virus e altrettanto spaesamento verso una quotidianità che non ci apparteneva. È subentrata poi la noia, a volte condita con la tristezza o la sfiducia. Con l’allentamento delle misure “detentive” il timore per la salute si è accompagnato alla ritrosia verso chi incontriamo, nascosto dietro mascherine più o meno omologate e omologanti.
L’ansia per il futuro, incerto più che mai, fra distanziamenti, speranze, gel, paure e incognite sempre più pressanti.
E nell’isolamento, con una routine messa spesso in slow motion il tempo si è come fermato, ma le nostre emozioni no. Tutt’altro, si sono trovate spesso ingigantite, tutto ad un tratto, come sotto l’effetto del fungo di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Proprio come Alice, ci siamo ritrovati catapultati in un mondo che fino a pochi mesi prima avremmo ritenuto fantastico, distopico e impossibile. Una roba dell’altro mondo, insomma.
“Che roba! Roba dell’altro mondo! Tutto il mondo, oggi, è roba dell’altro mondo! E pensare che fino a ieri le cose avevano un capo e una coda!”
Lewis Carroll
Comunicazione reale e virtuale
Questo isolamento forzato ci ha soprattutto messi di fronte alle nostre relazioni interpersonali e le relative emozioni che si intersecano nei loro meandri. Molti di noi hanno affrontato l’isolamento da soli, qualcuno con gatti o cani con cui parlare (e sembra che a qualcuno rispondessero anche) altri addirittura con piante (sulle risposte di queste non ho informazioni, per fortuna).
Altri lo hanno affrontato con i pochi intimi del nucleo familiare, altri ancora con i molti intimi dello stesso nucleo (e qui è anche comprensibile se preferissero a volte conversare con le piante).
Insomma, con i conviventi, per dirla con i toni dei vari acronimi governativi ormai noti.
La comunicazione online
In questo periodo, in una pausa da una chiacchierata con le piante e un’altra (se queste sono da considerarsi le conversazioni reali, lascio a voi la scelta), abbiamo portato quasi all’esasperazione le chiacchierate virtuali sulle varie chat.
Abbiamo consumato tutti i giga a disposizione e rischiando patologie del tipo Blackberry thumb (mi rendo conto che i termini medici dovrebbero aggiornarsi sulle novità del mercato tecnologico, chiamiamolo allora “dito a scatto”…forse più chiaro e svincolato dagli ultimi modelli in commercio…). In molti casi c’è chi si è sbizzarrito con le videochiamate.
E qui andrebbero stilati dei decaloghi di galateo per non far infuriare il ricevente colto magari mentre si stava strafogando di Nutella o diciamo non era proprio nel suo aspetto migliore…ma questo è il bello dell’isolamento, del resto…).
Lasciamo dunque da parte in questa sede la realtà lavorativa dello smart working e focalizziamoci sulle relazioni private. Amici, conoscenti, affetti stabili non conviventi e tutte le varie diciture esplose e forse mai chiarite con gli allentamenti del lockdown a maggio.
Ed è qui che si è verificato un vero e proprio sconvolgimento. Abbiamo in due mesi rivoluzionato completamente la nostra rubrica telefonica, sfrondando rami seccati da tempo (o che sorprendentemente lo sono diventati in un tempo brevissimo, sotto attacco di una temibile cocciniglia delle relazioni). Ne abbiamo fatti magicamente comparire dei nuovi, con innesti la cui sostenibilità sarà valutata nel tempo.
“Qualche volta le cose buone vanno in pezzi perché cose migliori possano accadere.”
Marilyn Monroe
Chi va
La pandemia del Covid, le regole, le privazioni e la paura hanno tirato fuori il meglio ma a volte il peggio di noi stessi.
E le emozioni che abbiamo dovuto affrontare e che abbiamo suscitato negli altri sono state molto spesso contradditorie (per non definirle schizofreniche). Il fiore di Plutchik sarebbe stato messo sicuramente alla prova.
Le abbiamo sperimentate soprattutto proprio nel relazionarci agli altri, ai conviventi in casa ma soprattutto con coloro con i quali non potevamo avere un costante e “vivo” contatto.
Ecco che, grazie al Covid, abbiamo rivalutato amici e conoscenti di una vita, in base al loro modo di approcciarsi alla situazione, se fossero ligi alle regole oppure no (mandandoci in bestia se noi non abbiamo sgarrato di una virgola). Fondamentalmente abbiamo rivalutato la “presenza” reale e non superficiale.
C’è chi è sparito (non per cause mediche) dal nostro panorama relazionale senza una spiegazione, senza interessarsi a noi e magari rispondendo seccamente (o non rispondendo del tutto) ai nostri messaggi.
Si sono dissolti nell’alone del lockdown, per motivi a noi ignoti ma i cui effetti per noi sono stati ben chiari e circoscrivibili: ci siamo sentiti abbandonati, tutto qui. Ed ecco che questi contatti, che magari prima rimbalzavano nelle nostre giornate come presenze scontate, sono stati catalogati come superficiali, non importanti. Ed eliminati.
Chi viene
Contemporaneamente sono riaffiorati, o abbiamo fatto riaffiorare, contatti che erano stati sepolti sotto coltri di ricordi annebbiati, magari rancori e sofferenze mai esplicitate.
Si sono riaffacciati così, con un messaggio. E ne siamo stati sorpresi ma sinceramente felici.
O siamo stati noi a ricontattare vecchi “affetti” tralasciando i motivi della chiusura della relazione (di qualunque tipo) per sentire come stavano, per farci sentire vicini in questa situazione paradossale. In alcuni casi questi contatti sono stati sporadici e si sono esauriti nel giro di pochi messaggi, giusto il tempo per assicurarsi della salute ed eventualmente per dare un calcio definitivo ai vecchi dissapori. Poi se ne sono tornati nelle cartelle archiviate, da dove erano riemersi.
Ma in alcuni casi i vecchi contatti sono stati aggiornati al sistema operativo corrente della nostra vita e le loro cartelle sono state di nuovo salvate sul desktop, in bella vista e pronte all’uso.
L’importante
L’isolamento, il fermarci a riflettere su cosa vogliamo o no (sia che lo abbiamo fatto consapevolmente o no) ci ha fatto capire cosa e chi è importante per noi. E abbiamo rivalutato vecchi contatti o li abbiamo semplicemente visti sotto una luce diversa. Forse più schietta e obiettiva. Il rancore, la rabbia, la delusione hanno lasciato il posto ad altre emozioni, forse ancora non chiare ma che sicuramente ci hanno dato, e danno, una carica positiva.
Chi rimane
Alla fine della fase 1 il governo ci ha messo di fronte ad un dilemma shakespeariano. I congiunti tanto declamati dai provvedimenti hanno visto includere al loro interno, fortunatamente, anche gli “affetti stabili”.
E qui si è scatenata la bagarre, non tanto legislativa o sociale. Ma la bagarre interiore, la bagarre emozionale (e qui la schizofrenia emotiva aveva campo libero). Capire o no chi fosse un “affetto” ci ha messo, forse, di fronte a domande scomode, se non ci siamo lasciati zittire dai nostri istinti e bisogni ormonali, dopo due mesi di clausura. In più, come se non bastasse, è stato aggiunto un aggettivo che è quello che personalmente mi ha destabilizzata di più: “stabile”.
Intendendolo non in termini di frequentazione temporale ma di frequenza dei battiti cardiaci in quella direzione, mi sono inizialmente un po’ intimorita. Una storia riiniziata dopo una pausa di riflessione di qualche mese. Iniziata di nuovo proprio agli albori della pandemia (sorvoliamo sulla tempistica non proprio azzeccata, ma io con gli effetti stabili difficilmente ho la tempistica giusta). Mi sono chiesta se volessi veramente che fosse non tanto un affetto, ma se lo considerassi stabile per me… e certo la lontananza (anche se nella stessa regione, almeno questo il fato me lo ha concesso) non ha aiutato.
Le emozioni erano decisamente instabili e il mio tentennamento ne era la prova schiacciante. La mia intelligenza emotiva aveva raggiunto quella dei pesci rossi. Non me ne vogliano gli animaletti, francamente non ho informazioni scientifiche a supporto della mia affermazione).
Affetti stabili
Mi sono trovata di fronte ad un bivio e sono stata costretta a fare chiarezza, affrontando i dubbi, le paure (la stabilità ne causa molte), le insicurezze. Non le ho eliminate, sarebbe stata una falsa soluzione con poca sostenibilità. Le ho incastrate – come in un puzzle di Mordillo da 2500 pezzi – con le emozioni di serenità, intrigo, gioia, sorpresa e soprattutto fiducia.
Ed ecco che la mia pianta sembrava aver ingurgitato una damigiana di fertilizzante e tutti i dubbi sono spariti (sarà che adoro i puzzle e quelli con i folli disegni dell’illustratore argentino sono una sfida senza paragoni…).
La pandemia, il Covid, la lontananza, mi ha fatto capire che per una instabile cronica come me (affettivamente parlando, non psicologicamente, ci tengo a precisare) era tempo di tagliare tanti rami. Potevano essere più o meno belli ma sapevo che non avrebbero dato mai frutti (anche perché non mi interessavano), per concentrarmi su uno solo: il mio affetto stabile.
“Molto spesso, per riuscire a scoprire che siamo innamorati, forse anche per diventarlo, bisogna che arrivi il giorno della separazione.”
Marcel Proust
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