Bisogno di approvazione in ufficio guida semiseria ai comportamenti selvatici (da scrivania) & dintorni

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Ci sono uffici che sembrano più uno zoo emozionale che un luogo di lavoro.
C’è chi sgomita per farsi notare, chi si mimetizza per non essere criticato/a, chi accumula task come fossero premi fedeltà.
Tutti, in fondo, mossi dallo stesso motore: il bisogno di approvazione.

Non è un problema “degli insicuri” — anzi, colpisce spesso proprio le persone più competenti e responsabili. Quelle che, senza un feedback positivo, iniziano a dubitare del proprio valore.
E così, invece di fare semplicemente bene il proprio lavoro, finiscono per interpretare un ruolo: il super disponibile, il brillante, il perfetto, il simpatico…

Benvenuto/a nel Bestiario da ufficio: una guida semiseria (ma spaventosamente realistica) alle creature che popolano open space, call e chat aziendali.
Ognuna con il suo modo unico di cercare riconoscimento, evitare conflitti e sentirsi “abbastanza”.

E, piccolo spoiler: potresti riconoscerti in più di un animale.

Pronti al safari?

Prima di partire per questo safari, dobbiamo fare una premessa: nessun animale aziendale nasce per caso. Dietro ogni piuma colorata, ruggito teatrale o abilità di mimetizzazione, c’è quasi sempre lo stesso istinto di sopravvivenza: essere accettati, riconosciuti e, possibilmente, apprezzati.

È la versione da open space della legge della giungla: non basta svolgere il proprio compito, bisogna anche mantenere un posto sicuro nel branco. E, come in ogni ecosistema, le strategie per farlo sono tante quante le specie che popolano il territorio. Oggi ti porto a conoscerle, con il binocolo puntato sul bisogno di approvazione che le accomuna tutte.

“Non sei il tuo lavoro.”

da Fight Club

La fame atavica di riconoscimento (e le sue meravigliose conseguenze in ufficio)

Abbiamo visto come la generazione in cui sei nato/a ti ha addestrato al “bravo/a” — o al silenzio glaciale — e perché, a livello biologico, cerchiamo naturalmente l’approvazione: per i nostri antenati, essere accettati dal gruppo significava sopravvivere.

Il problema è che oggi non dobbiamo più preoccuparci di essere esclusi da una tribù nella savana… ma il nostro cervello non lo sa. Così, in ufficio, continua a muoversi come se un feedback negativo potesse farci finire soli/e nella giungla.
Il risultato? Un intero ecosistema di comportamenti-recita: dal perfezionista che lucida ogni dettaglio al tappetino deluxe che non osa dire “no”.

Chi vive costantemente in cerca di approvazione sviluppa abilità speciali degne degli X-Men, ma purtroppo tutte orientate alla sopravvivenza emotiva, non all’autorealizzazione.

Insomma, il moderno open space è una riserva naturale di specie in cerca di applausi.
E adesso è il momento di esplorarla: benvenuto/a nel safari aziendale.

🦫 Il Castoro (alias il perfezionista instancabile)

Lavora senza sosta, cesella ogni dettaglio, ricontrolla dieci volte la stessa presentazione anche se era già perfetta alla terza.
Non lo fa perché non si fidi del contenuto, ma per quella vocina interiore che sussurra: “Non si sa mai cosa penserà il capo.”

Nella sua testa, ogni feedback che non suona come un applauso scrosciante equivale a un fallimento cosmico.
Così il Castoro continua a costruire e ricostruire dighe di file e revisioni, convinto che la perfezione lo proteggerà da critiche, delusioni o — peggio — dall’indifferenza.

È preciso, affidabile e spesso indispensabile. Ma anche esausto.
Perché l’ansia da prestazione non dorme mai, e ogni progetto diventa una maratona emotiva in cui il traguardo si sposta sempre un po’ più avanti.

Domanda di coaching:
Quando ti sorprendi a rivedere qualcosa per l’ennesima volta, chiediti: lo sto facendo per migliorare davvero… o per calmare la paura di non essere abbastanza?

🐕 Il Golden Retriever (alias il volontario/a seriale)

Dice sempre sì. A tutto. Riunioni, report, note spese, onboarding, riunioni extra, “mi copri mentre sono in ferie?”…
Se potesse, porterebbe pure il caffè alla macchinetta — e chiederebbe scusa se non è zuccherato nel modo giusto.

Il suo carburante è il “grazie mille”: una carezza emotiva che accende il suo bisogno di sentirsi utile e approvato/a.
Ogni “certo, ci penso io” gli regala una mini-scarica di autostima, ma anche una gabbia dorata: quella del/la bravo/a a disposizione di tutti.

In ufficio è l’anima buona che salva i progetti all’ultimo minuto, ma anche quella che rischia il burnout silenzioso.
Perché dire sempre sì non è altruismo: spesso è paura di dire “no”.

Domanda di coaching:
Se oggi dicessi un “no” gentile, cosa accadrebbe davvero?
Chi si arrabbierebbe… e chi, forse, inizierebbe finalmente a rispettarti di più?

🦎 Il Camaleonte (alias il performer da open space)

Ride sempre, è sempre d’accordo, cambia colore in base alla luce (o al capo di turno).
Ha una qualità che a prima vista sembra un dono: si adatta a tutto e a tutti.
Ma sotto la superficie brillante si nasconde un dubbio continuo: “Se mostro davvero chi sono, mi accetteranno ancora?”

Così il Camaleonte sorride, annuisce, media, evita i contrasti. E intanto si scolora, un po’ alla volta, fino a non riconoscersi più.
Il problema non è l’empatia: è l’annullamento strategico.

Domanda di coaching:
Quando eviti di dire ciò che pensi, lo fai per rispetto… o per paura di sembrare “difficile”?


🐑 La Pecora Zen (alias il tappetino deluxe)

Dalla stessa famiglia del Golden Retriever, ma con una vocazione ancora più “mistica”: quella del “non disturbare”.
Dice sempre sì, si scusa se tossisce, se parla, se respira troppo forte in call.
È così gentile da far sentire in colpa perfino l’aria condizionata.

Ma sotto quel tono pacato si nasconde un mondo di frustrazione silenziosa.
Il suo mantra è: “meglio non dare fastidio”.
Spoiler: il fastidio più grande se lo dà da solo/a, ogni volta che si cancella per far star bene gli altri.

Domanda di coaching:
Quante scuse hai fatto questa settimana senza che ci fosse un vero motivo?

🦜 Il Pappagallo da meeting

Il più elegante imitatore della giungla aziendale.
Ripete sempre l’ultima opinione detta dal capo, con entusiasmo sincero e voce squillante.
“Come diceva Laura, è fondamentale agire con urgenza!”
Se Laura cambia idea mezz’ora dopo, nessun problema: lui/lei cambia piumaggio all’istante.

Il suo obiettivo non è capire o contribuire, ma restare nel gruppo, nel cerchio magico dei “piaciuti”.
E mentre ripete le parole altrui, le proprie idee restano lì, chiuse in gabbia.

Domanda di coaching:
Quali pensieri o proposte tue hai trattenuto per paura di andare controcorrente?

🐿️ Lo Scoiattolo (alias il produttore seriale di task inutili)

Corre, archivia, programma, aggiorna, ricontrolla. Sempre in movimento, sempre con qualcosa da “fare”.
Da fuori sembra l’emblema della produttività; da vicino… un piccolo motore in perenne overdrive.

Lo Scoiattolo aziendale riempie la sua agenda di task, report e micro-progetti che nessuno ha chiesto, ma che gli danno l’illusione di essere indispensabile.
La verità è che ha paura del vuoto: teme che, se smettesse di fare, qualcuno potrebbe accorgersi che non serve poi così tanto.

Alla domanda “ma serviva davvero?” risponde con il classico sguardo da freeze mentale. Poi riparte a correre.

Domanda di coaching:
Se eliminassi le attività “di facciata”, quanto tempo (ed energia) avresti per ciò che conta davvero?


🦚 Il Pavone (alias il vanitoso insicuro)

Elegante, brillante, sempre al centro della scena. È quello/a che entra in riunione come su un palcoscenico e misura il successo in sguardi di approvazione.
LinkedIn è il suo habitat naturale: citazioni ispirazionali, foto patinate, bio con “#workhardplayharder”.

Ma basta una presentazione andata male o una risposta fredda del capo per farlo/a crollare in un istante.
Sotto la coda luccicante si nasconde un pulcino spaesato che cerca costantemente conferme, come se ogni like fosse un abbraccio.

Il Pavone non è superficiale: è solo stanco di dover sempre “brillare”.
La verità? Vorrebbe solo sentirsi abbastanza, anche quando le piume non sono perfette.

Domanda di coaching:
Stai investendo più nella forma o nella sostanza?
E cosa accadrebbe se lasciassi che fossero i risultati — e non l’immagine — a parlare per te?


🐙 Il Polipo emotivo (alias il tentacolare relazionale)

Il Polipo vive di connessioni. Letteralmente.
Allunga i suoi tentacoli emotivi ovunque: un messaggio privato al capo “solo per sapere se sto andando bene”, un check spontaneo al collega “ti disturbo se ti chiedo se ho fatto giusto?”, un feedback richiesto anche per le virgole di una mail.

È dolce, empatico, generoso. Ma dietro la gentilezza si nasconde una fame silenziosa di conferme.
Non cerca solo di fare bene: cerca di essere piaciuto/a. Da tutti. Sempre.
E così finisce per esaurirsi, prosciugando la sua energia nel tentativo di piacere anche a chi, in fondo, non conta davvero.

Il Polipo emotivo è bravissimo nel “sentire gli altri”, ma spesso dimentica di ascoltare se stesso/a.
La sua più grande lezione? Imparare che non serve piacere a tutti per valere qualcosa.

Domanda di coaching:
Da chi stai ancora cercando approvazione… anche se, razionalmente, sai che non ne hai bisogno?

 

E poi ci chiediamo perché il burnout è diventato il compagno fisso dei pranzi veloci davanti al computer…

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Ecco, ora che hai incontrato le specie più comuni del nostro zoo da ufficio, forse hai già iniziato a riconoscere qualche caratteristica in te o nei tuoi colleghi.
Il punto non è giudicare — ogni animale ha i suoi punti di forza — ma capire quando il bisogno di approvazione sta guidando le tue scelte più di quanto dovrebbe.
Ed è proprio qui che entra in gioco il prossimo passo: un esercizio di coaching che ti aiuterà a osservarti con più chiarezza, smontare il pilota automatico e, se vuoi, iniziare ad allenarti a lavorare anche senza applausi.

Pronto/a a scoprire il tuo habitat naturale?
Adesso che sai quali specie popolano il safari aziendale, è il momento di capire dove ti piazzi tu nella mappa.
Niente paura: non serve un binocolo, ma un po’ di onestà e la voglia di guardarti da fuori, come faresti con un personaggio di un film.
L’esercizio che ti propongo è semplice, ma potente: ti guiderà a riconoscere quando scatta in te il bisogno di approvazione, da dove arriva e come puoi iniziare a gestirlo senza perdere la tua autenticità.

TIP di coaching – L’esercizio dell’“animale consapevole”

Questo esercizio ti aiuta a capire quando entri nella modalità “ho bisogno di un bravo/a” e come puoi iniziare a ricalibrare le tue azioni.

1. Mappa le situazioni
Per 5 giorni, annota ogni episodio in cui senti di cercare approvazione.
Non importa se è esplicito (“Hai visto che ho finito il progetto?”) o implicito (ti aspetti che qualcuno noti il tuo impegno).

2. Identifica il tuo animale
Per ogni episodio, chiediti: “Quale animale aziendale sto interpretando?”.
Usa la lista del safari come riferimento, ma non fermarti alla superficie: chiediti anche che emozione c’è sotto (paura di sbagliare? bisogno di essere incluso/a? desiderio di sentirti utile?).

3. Collega il passato al presente
Domanda chiave: “Dove ho imparato a comportarmi così?”.
Magari è un pattern familiare (“A casa mia i complimenti erano rari”), o scolastico (“A scuola solo i primi venivano elogiati”), o un’esperienza lavorativa passata.
Capire l’origine aiuta a togliere il pilota automatico.

4. Valuta l’impatto
Scrivi: “Questo comportamento oggi mi aiuta o mi frena?”.
A volte l’animale ci serve (il perfezionista può garantire qualità), altre volte ci sfianca (il volontario seriale finisce in burnout).

5. Sperimenta un micro-cambio
Per la prossima settimana, scegli una sola occasione in cui, invece di agire per essere approvato/a, agisci per sentirti allineato/a ai tuoi valori.
Esempio: se sei un tappetino deluxe, prova a dire “no” a una richiesta piccola ma inutile.
Nota cosa succede dentro di te e fuori.

Perché funziona:

  • Ti abitua a riconoscere i trigger del bisogno di approvazione.

  • Ti aiuta a separare chi sei da come vieni valutato/a.

  • Ti allena a micro-azioni che, nel tempo, rafforzano la stima interna.

Il safari come strumento strategico di team coaching

Quando lo porto nei team, il safari degli animali aziendali diventa un radar di dinamiche interne: non è un semplice gioco, ma un modo per far emergere ruoli impliciti, abitudini relazionali e “non detti” che bloccano collaborazione e produttività.

Lo uso per:

  • Rivelare schemi nascosti che rallentano il lavoro.

  • Aumentare la consapevolezza reciproca in un clima sicuro e costruttivo.

  • Trasformare il bisogno di approvazione in risorsa condivisa invece che in freno.

Il risultato? Team più uniti, comunicazione più diretta e meno attriti personali.
E no, non è un’attività “fai da te”: senza una conduzione esperta, il rischio è generare difese, imbarazzi o piccoli conflitti che restano in sospeso.

Con la giusta guida, invece, diventa uno strumento potente per passare dalla dinamica dell’applauso a quella della stima reciproca.

E adesso?

Riconoscere il tuo “animale aziendale” è il primo passo.
Il secondo è capire come addomesticarlo e nutrire l’autostima senza dipendere dall’applauso.

Ne parliamo nel prossimo articolo: come allenare il “muscolo del valore” e smettere di vivere per un “Bravo/a!”.

“In ogni lavoro che deve essere fatto, c’è un elemento di divertimento.”

Mary Poppins

Approfondimenti sul “safari aziendale”

Per approfondire il “safari” delle personalità aziendali, ecco tre titoli che mescolano scienza, narrativa e cinema, offrendoti modi diversi di osservare — e sorridere — le dinamiche da ufficio.

  • Un saggioIntelligenza emotiva di Daniel Goleman
    Un classico per capire perché non basta il quoziente intellettivo a funzionare bene in un team. Spiega come leggere le emozioni proprie e altrui, competenza essenziale per riconoscere e gestire le “specie” aziendali.

  • Un libro narrativo – Il capo che amava troppo di Manfred Kets de Vries
    Una raccolta di storie (ispirate a casi reali) che raccontano capi e colleghi con tratti quasi da bestiario umano. Ironico e pungente, ma con un occhio clinico da psicologo.

  • Un film – Il diavolo veste Prada (2006)
    Dietro le quinte di una redazione di moda, dove il bisogno di approvazione e la paura di deludere guidano ogni mossa. Perfetto per vedere all’opera dinamiche di potere e dipendenza da riconoscimento.

E tu?

In quale specie ti riconosci di più… e quale vorresti diventare?

Se questo articolo ti ha ispirato, condividilo o lascia un commento.

Come coach, uso questo “safari” come strumento strategico nel coaching aziendale per aiutare team e manager a riconoscere i diversi comportamenti, trasformando potenziali conflitti in collaborazioni efficaci. Non è un gioco improvvisato: serve metodo, sensibilità e professionalità per evitare scontri e frustrazioni… ed è qui che entro in gioco io.

Contattami (anche via WhatsApp – in basso a destra) per la sessione gratuita: capirai se il coaching è quello di cui hai bisogno, e vuoi.

Come posso aiutarti

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